UNIVERSITÀ: LE POLITICHE PERSEGUITE, LE POLITICHE ATTESE
Dalla domanda di formazione, allo stato della ricerca; dalle risorse finanziarie, al reclutamento degli insegnanti: questo e molto altro ancora si trova in un vero e proprio check-up sull’università italiana. Un centinaio di pagine, fitte di analisi, tabelle, grafici, riferimenti a leggi, considerazioni, proposte stilate dal Consiglio Universitario Nazionale, l’organo in cui sono rappresentate tutte le comunità scientifiche presenti nel nostro sistema universitario.
In apertura, il CUN sottolinea con forza la necessità di ricordare il senso più profondo e la funzione irrinunciabile che l’università ha svolto fin dalle sue origini: una comunità autonoma dai poteri religiosi e politici, per la formazione di un pensiero libero e critico.
Proprio la “autonomia responsabile” è la chiave di lettura principale che attraversa quelle pagine: un bilancio puntuale e sistematico sugli ultimi sei anni del rapporto fra le autonomie universitarie e lo Stato; sei anni dalla riforma Gelmini del 2010.
Un bilancio che, però, presenta molte cifre in rosso: gli italiani laureati sono al di sotto della media dei Paesi OCSE; diminuisce la percentuale dei neo-diplomati che entrano nell’università, con punte particolarmente negative in alcune aree soprattutto del Sud e delle Isole; è scarso il riconoscimento che il nostro mercato del lavoro tributa alla formazione universitaria; è troppo elevato il numero degli abbandoni; malgrado la prevalenza di studentesse iscritte, restano marcate differenze svantaggiose rispetto ai maschi.
Chi esce dalle Superiori e approda all’Università non sempre ha vita facile: le motivazioni, le attitudini, la preparazione acquisita fra i banchi di scuola non sempre rispondono a ciò che il percorso universitario prescelto richiede. Da qui le proposte del CUN per istituire percorsi di orientamento che informino di più, seguano per più anni gli studenti e vedano partecipare i docenti sia delle Superiori, sia dell’Università. Per realizzare queste proposte − calcola il CUN − spenderemmo molto meno di quanto oggi costano gli abbandoni.
Vari dati restituiscono all’Università un profilo dinamico, in profonda trasformazione. L’offerta formativa rimane sostanzialmente stabile, ma aumentano i corsi nelle aree scientifiche, economiche e tecnologiche, mentre diminuiscono leggermente quelli nelle aree umanistiche e sociali; aumentano i corsi interdisciplinari e quelli in lingua inglese.
Quanto alla valutazione dell’organizzazione della didattica, essa è partita da premesse giuste ma si è tradotta in un eccesso di burocrazia farraginosa, che ha scoraggiato docenti, studenti e personale amministrativo dal parteciparvi attivamente.
Altro capitolo: la ricerca. Anche qui la valutazione si è finora affidata troppo a numeri e quantità, non sempre riuscendo ad entrare adeguatamente nel merito della qualità: ciò vale sia per i Dottorati, sia per la ricerca. Sfugge, insomma, qualcosa di essenziale, la sostanza, i contenuti dei prodotti scientifici. E questo accade quando, nel contempo, sta profondamente cambiando il panorama delle conoscenze scientifiche: i saperi, i criteri per classificarli, utili anche a ripartire i finanziamenti pubblici; e mutano perfino le parole per definirli. In questo campo il CUN è entrato più volte, con analisi e proposte, aprendosi alla partecipazione attiva delle comunità scientifiche.
L’apertura dell’università italiana al contesto internazionale è un altro tema affrontato. Qui le luci prevalgono sulle ombre: «Nonostante una cronica scarsità di risorse finanziarie e umane − afferma il CUN − il sistema universitario italiano è rimasto in grado di collaborare e competere ai massimi livelli con Università e centri di ricerca stranieri». La mobilità territoriale, quella che varca i confini nazionali, è frequente e il 16% dei docenti italiani opera in Paesi stranieri. Più difficile, invece, è l’ingresso in Italia di studiosi stranieri; e pochi italiani rientrano in patria, colpa soprattutto delle limitate prospettive di reclutamento e della contrazione delle risorse. Gli incentivi per il rientro, sempre al giudizio del CUN, sono pochi, talora controversi e comunque settoriali. Il CUN ritiene invece necessario affrontare in un quadro complessivo e organico l’intera normativa del reclutamento, delle progressioni di carriera, della mobilità nazionale e internazionale, dei riconoscimenti delle posizioni e dei titoli esteri.
Un capitolo assai spinoso riguarda le risorse finanziarie, che, come abbiamo già accennato, soffrono di pesanti tagli protratti nel tempo. La loro riduzione colpisce sia le spese per l’organizzazione complessiva delle università, sia quelle per la ricerca. Inoltre alcuni meccanismi di ripartizione hanno innescato acuti squilibri territoriali, invece di correre in soccorso delle sedi e delle aree in difficoltà. Questi ed altri problemi portano il CUN a lanciare un severo segnale di allarme: se le tendenze rimarranno quelle attuali, potremmo ben presto affrontare problemi di tenuta complessiva del sistema universitario.
Passando alla progressione di carriera dei docenti, il CUN prende atto che di recente sono stati imposti pesanti vincoli all’autonomia di giudizio delle commissioni per l’abilitazione nazionale; questo irrigidimento − a prima vista − potrebbe aiutare a prevenire eventuali comportamenti opportunistici; sennonché vincoli e procedure si sono dimostrati difficili da applicare e ad alto rischio di contenziosi. Il CUN ha sottolineato questi rischi e ha avanzato proposte alternative, recepite solo in parte dalla legge ma di nuovo vanificate dai decreti attuativi.
A fronte di procedure di selezione così lente e complesse, il CUN stima che, per allinearci agli standard internazionali, occorrerebbe aggiungere al personale attuale almeno 2mila ordinari, non meno di 4mila associati e almeno 2mila ricercatori.
Ma, a parte la carenza di personale docente, il CUN si preoccupa anche della condizione in cui oggi versano i giovani ricercatori assunti su posizioni temporanee e troppo poco tutelate. Da qui la proposta di una completa ristrutturazione delle carriere: un'unica posizione iniziale a tempo determinato con maggiori garanzie contrattuali, in modo da evitare l’attuale coacervo di figure precarie; un concorso pubblico per entrare in ruolo inizialmente come professore Iunior a tempo determinato con conferma in ruolo dopo il conseguimento dell’abilitazione; una progressione di carriera basata su procedure abilitative nazionali e su valutazioni periodiche dell’attività; un insieme di diritti-doveri sostanzialmente uguale per tutti i docenti in ruolo.
In conclusione, la situazione attuale dell’Università, per tanti aspetti così problematica, pone pesanti limiti all’autonomia organizzativa, finanziaria, scientifica e didattica, in contrasto con quanto la Costituzione prevede per il bene del Paese: «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», di modo che alla Repubblica spetta l’inderogabile compito di promuovere «lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica».
Il CUN termina ricordando che questo suo studio risponde alle proprie funzioni: «Il Consiglio Universitario Nazionale nei suoi tanti documenti, più volte ha segnalato le tensioni e le torsioni alle quali le diverse politiche adottate e ancor più quelle mancate hanno sottoposto le autonomie universitarie. Queste pagine hanno inteso raccontare “che cosa è stato fatto e che cosa è stato proposto”, perché tutti, e innanzitutto le sedi istituzionali, possano valutare e decidere “che fare”».
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